Rieccoci con l’appuntamento settimanale della mini-rubrica SorprendenteMente.
Oggi tratteremo di un tema che riguarda molte persone: la difficoltà di dire “no”.
Ma davvero una parola così piccina, una sola sillaba può creare difficoltà? Ebbene, citando un famoso film del grande Massimo Troisi, la risposta è “Si. Certamente”.
La vita è ricca di relazioni che si sviluppano nell’ambito familiare, sociale, sentimentale, lavorativo ecc e chiaramente ciò implica il rapportarsi con gli altri su diversi livelli. Tali interazioni sono degli scambi a cui partecipano personalità e vissuti dei soggetti in questione che giocano un ruolo fondamentale in merito al “si” e al “no”. La disponibilità, il garbo, l’educazione, l’empatia e tutte le belle qualità ad esse affini propendono per “mettersi a disposizione” e soprattutto “aiutare l’altro”. Benissimo. Questo fa onore ed in qualche modo è gratificante, ma quando si prevalicano certi confini il “voler far del bene” non va più a buon fine, né per chi si attiva in tal senso, né per il ricevente. Ciò avviene quando il richiedente vuole approfittare delle qualità pocanzi espresse facendo leva sul alcuni “tasti relazionali” che possano manipolare l’altro condizionando la sua scelta di aiuto. Procediamo con ordine. Già nell’infanzia, il bisogno di riconoscimento ed amore con le figure familiari porta i bambini a compiacere gli altri al fine di sentirsi apprezzato soddisfacendo le aspettative del nucleo familiare. Tale modalità, che chiaramente cambia e si raffina nel tempo, comunque per alcuni può restare la “linea guida” per cimentarsi nelle relazioni interpersonali al di là di quale sia l’ambito contestuale. La mancata realizzazione delle aspettative può comportare il rischio di sentirsi rifiutati, il rischio di deludere, il rischio di perdere il proprio ruolo e per tali motivi ciò che ho chiamato “tasti relazionali” toccano sensibilità, senso di colpa, desiderabilità sociale, moralità ecc. Ecco perché dire di Si, apparentemente è molto più semplice di dire “no”.
Ciò che bisogna chiarire è innanzitutto, che è importante ricordarsi che le “aspettative” di cui sopra sono quelle degli ALTRI e quindi sarebbe opportuno fare un primo passo fondamentale: ASCOLTARSI.
Questo passo io lo definisco un passaggio di onestà con se stessi perché si comprende anche la capacità di s-valutare se stessi in relazione al contesto ed agli altri ed esplicita il livello di bisogno di considerazione e riconoscimento. Non mi addentrerò in questa occasione nelle tipologie dei vissuti familiari, ma è importante soffermarsi su quanto la sopravvalutazione di un legame e/o la svalutazione di se stessi comporti un meccanismo perverso. In sintesi, ci si ritrova intrappolati in un loop che pressa anche la capacità di adattamento in quanto questa modalità relazionale di matrice passiva comporta l’ignorare i propri desideri e bisogni dando importanza ai diritti e bisogni degli altri. All’apparente serenità dei rapporti, in realtà si contrappone disagio, rabbia, frustrazione e difficoltà sempre maggiori ad autoaffermarsi. A queste, a lungo andare, si aggiungeranno sensazione di fallimento e una percezione della solitudine che spingerà il soggetto ad incrementare le modalità di compiacimento per via dell’innescarsi di una sorta di dipendenza emotiva. Queste dinamiche risultano particolarmente interessanti nel contesto di coppia. Dire dei “no” non è uno sgarbo o una prevaricazione, ma aiuta a mantenere la propria individualità rafforzando la coppia con la trasparenza dei vissuti. Come sostiene Asha Phillips, “dire no può essere estremamente liberatorio per entrambi i partner, perché incoraggia le differenze di idee e offre un’occasione di cambiamento.” Precedentemente, infatti, ho affermato che l’essere sempre accondiscendenti non è utile né per se stessi, né per il richiedente in quanto si limita anche una crescita emotiva nonchè la responsabilizzazione e, nella coppia si rischia a restare nel momento fusionale.
A questo punto è doveroso citare una frase a cui spesso faccio riferimento perché Freud, con le sue parole, offre una perfetta fotografia di questo spaccato: “Se due individui sono sempre d’accordo su tutto, vi posso assicurare che uno dei due pensa per entrambi”
Bisogna ascoltarsi, accettarsi e volersi bene con la consapevolezza che non si può (e non si deve!) piacere a tutti. La disponibilità e un’ottima cosa quando agìta in maniera sana e ricordarsi di essere sempre attenti a se stessi perché, autocitandomi, il “te stesso è ciò che sarà con te per tutto il resto della tua vita”. A tal proposito per una qualità di vita migliore, mi fa iacere proporvi un vocabolo che usano i danesi per esprimere un concetto di benessere molto vicino al mio La parola è “Hygge” (che si pronuncia “hugga”) e indica“creare un’atmosfera accogliente e godersi il bello della vita con le persone care”.Ciò detto, dunque, l’attesa può bastare: è il vostro turno, il momento di pensare a se stessi ed è importante ricordare che non si ratta di egoismo, bensì di tutela del proprio essere ed è il momento di rendersi felici.