Per la mini-rubrica “SorprendenteMente” riprenderemo l’argomento della volta precedente che avevamo dovuto interrompere sul più bello.
Ci eravamo lasciati con la definizione di “costrittività organizzativa” che, ricordiamo è caratterizzata da agìti vessatori con dirette conseguenze sulla posizione lavorativa, non che sulla possibilità di svolgere le proprie mansioni specialistiche. Ma, in sostanza, i mobber che cosa fanno in questo caso? E qui è opportuno fare riferimento ad un documento dell’Inail del 2003 che specifica tali azioni con quanto segue.
“- Marginalizzazione dalla attività lavorativa
– Svuotamento delle mansioni
– Mancata assegnazione dei compiti lavorativi, con inattività forzata
– Mancata assegnazione degli strumenti di lavoro
– Ripetuti trasferimenti ingiustificati
– Prolungata attribuzione di compiti dequalificanti rispetto al profilo professionale posseduto
– Prolungata attribuzione di compiti esorbitanti o eccessivi anche in relazione a eventuali condizioni di handicap psico-fisici
– Impedimento sistematico e strutturale all’accesso a notizie
– Inadeguatezza strutturale e sistematica delle informazioni inerenti l’ordinaria attività di lavoro
– Esclusione reiterata del lavoratore rispetto ad iniziative formative, di riqualificazione e aggiornamento professionale
– Esercizio esasperato ed eccessivo di forme di controllo.”
In generale, le azioni del mobber possono essere di vario genere. Palesi e fortemente dirette (urla, aggressioni fisiche, commenti sessisti ecc.) oppure subdolamente velate (quando si esclude la vittima ignorandola fingendo di non aver sentito). Possono prendere iter burocratici come lettere o provvedimenti disciplinari oppure utilizzare “modalità logistiche” per mezzo di trasferimenti improvvisi a scopo punitivo. Anche il demansionamento appartiene a questo gruppo e, non ultime, le “azioni paradossali” così definite da Menelao (Menelao et al., 2001) che vedono affidare alle vittime compiti di portata maggiore rispetto le proprie competenze e capacità in vista del suo fallimento.
Tra gli esempi specifici possiamo trovare il discriminare sulle ferie, sulle posizioni di carriera, sul carico di lavoro. Inoltre, ci sono diversi tipi di demansionamento e la marginalizzazione delle prestazioni, nonché veri e propri sabotaggi sia relativi alla ita professionale che all’immagine personale e/o sociale, sia, ancora alla salute della vittima.
A tal proposito è interessante riportarvi le 15 azoni identificate da Leymann che aiutano a inquadrare una situazione di mobbing.
- “Improvvisamente spariscono o si “rompono” senza che vengano sostituiti, strumenti di lavoro come telefoni, computer, lampadine etc.
- I litigi ed i dissidi coi colleghi di lavoro sono più frequenti del solito.
- La vittima viene messa vicino ad un accanito fumatore pur sapendo che odia il fumo.
- Quando entra in una stanza la conversazione generale di colpo s’interrompe.
- Viene tagliata fuori da notizie e comunicazioni importanti per il lavoro.
- Girano pettegolezzi infondati sul suo conto.
- Le affidano da un giorno all’altro incarichi inferiori alle sue competenze.
- Si sente sorvegliata nei minimi dettagli: orari di entrata e d’uscita, telefonate, tempo passato alla fotocopiatrice o alla macchinetta del caffè.
- Viene rimproverata eccessivamente per delle piccolezze.
- Non viene data alcuna risposta alle sue richieste verbali o scritte.
- Superiori o colleghi la provocano per indurla a reagire in modo incontrollato.
- Viene esclusa dalle feste aziendali o da altre attività sociali.
- Viene presa in giro per l’aspetto fisico o per l’abbigliamento.
- Tutte le sue proposte di lavoro vengono rifiutate.
- Viene retribuito meno di altri che hanno incarichi inferiori.”
Ma quali sono gli effetti? Sulla vittima, le conseguenze immediate ricadono nell’impedimento comunicativo perché spesso viene zittita o interrotta e sopraffatta. Ricadono sui contatti sociali con i colleghi perché viene isolata sia nelle relazioni interpersonali che fisicamente in quanto esclusa e/o confinata in altro luogo (stanza o sede). Ricadono sul livello delle sue competenze che viene continuamente sminuito e reso vano. Ricadono sull’immagine personale della vittima ove anche la sua reputazione viene infangata con pettegolezzi o derisioni sul suo status psicofisico. Non ultimo, ricadono sulle condizioni fisiche e psicologiche della vittima che viene sottoposta a costanti pressioni ed ad ogni genere di molestia, inclusa quella sessuale. Tutto ciò comporta una esasperazione della capacità di adattamento, seguita da frustrazione e stress che sfoceranno in una condizione patologica, spesso con iniziale sintomatologia di matrice depressiva. I risvolti psicologici di tale pressione sono molto articolati e tra questi spiccano i disturbi psicosomatici, i disturbi dell’umore, i disturbi d’ansia e finanche i disturbi dell’adattamento ed il disturbo post-traumatico da stress.
Una volta chiariti gli elementi che concorrono per le dinamiche di mobbing, nonché queste ultime, mi preme focalizzare l’attenzione su un elemento fondamentale : il mobber. Per sintetizzare le caratteristiche che con maggiore frequenza si riscontrano in questi individui, vi riporterò i 14 profili stilati da Harald Ege che trovo chiari ed esplicativi. Lo studioso ha riportato i seguenti “tipi”.
- l’istigatore: è colui che è sempre alla ricerca di nuove cattiverie e maldicenze volte a colpire gli altri;
- il casuale: è colui che diventa mobber per caso, quando trovandosi all’interno di un conflitto prende il sopravvento sull’altro;
- il conformista: è un tipo di mobber spettatore, nel senso che è una persona che non prende direttamente parte al conflitto attaccando la vittima, però la sua non reazione equivale ad un’azione favorente il mobbing;
- il collerico: è la persona che non riesce a contenere la rabbia e far fronte ai suoi problemi e solo prendendosela con gli altri riesce a scaricare la forte tensione interna;
- il megalomane: è colui che ha una visione distorta di se stesso considerandosi sempre al di sopra, un senso di Io grandioso che lo autorizza a colpire gli altri ritenuti inferiori;
- il frustrato: è l’individuo insoddisfatto della sua vita che scarica il suo malessere sugli altri, alla stregua del collerico;
- il sadico: è colui che prova piacere nel distruggere l’altro e che non è disposto a lasciarsi scappare la vittima; questo individuo, identificato da altri come il perverso narcisista, rappresenta il modello più pericoloso in quanto è da considerarsi uno psicotico senza sintomi che rifiuta di prendere in considerazione i suoi conflitti interni e trova il suo equilibrio scaricando il dolore su di un altro;
- il criticone: è la persona perennemente insoddisfatta degli altri che crea un clima di insoddisfazione e di tensione;
- il leccapiedi: è il classico carrierista, che si comporta da tiranno coi subalterni ed ossequioso coi superiori;
- il pusillanime: è colui che ha troppa paura per esporsi e si limita ad aiutare il mobber o, se agisce in prima persona, lo fa in maniera subdola, con cattiverie e sparlando della vittima;
- il tiranno: è simile al sadico, non sente ragione ed i suoi metodi seguono uno stile dittatoriale;
- il terrorizzato: è colui che teme la concorrenza e inizia a fare azioni di mobbing per difendersi;
- l’invidioso: è colui che è sempre orientato verso l’esterno e non può accettare l’idea che qualcun altro stia meglio di lui;
- il carrierista: è la persona che cerca di farsi una posizione con tutti i mezzi possibili, anche non legali, non puntando invece sulle sue reali capacità.
Tengo inoltre a sottolineare che, molto spesso, i mobber sono affetti da disturbi di personalità che si identifico con: disturbo narcisistico di personalità, disturbo antisociale di personalità, disturbo borderline di personalità e disturbo paranoide di personalità. Del resto, “le azioni descrivono le persone”.
Se doveste trovarvi in situazioni del genere, contattate dei professionisti che possano supportarvi quali uno psicoterapeuta ed un legale di fiducia.