“Mio padre”: Di Carmela D’Auria.
Mio padre si chiamava Agostino, ma per tutti era Masto Mustino.
Faceva il falegname.
Aveva la bottega nella piazza del paese, luogo da cui si dipanava la matassa della vita di tutti.
Era un bravo artigiano: il legno, tra le sue mani, parlava: parlava di momenti felici, quando intagliata i decori sulle culle o sulle cassapanca dei corredi delle spose e di momenti cupi, quando creava fregi sulle casse da morto.
Da bambina passavo molti pomeriggi con lui, tra l’odore acre della colla, dell’ acquaragia e dei “sciuscioli”: studiavo la storia, e ascoltavo le storie che mi raccontava.
Quando sono nata, aveva già sessantaquattro anni e aveva paura che il tempo, tiranno, non gli lasciasse molto spazio ancora per insegnarmi la vita.
Con masto Davide ‘o sarto ” imbastiva” infuocate discussioni sulla politica e sulla religione che sfociavano in parolacce e bestemmie, per poi finire con un buon bicchiere di vino.
E io, bambina, in quegli stralci di quotidianità, ero felice.
Aveva una bella voce: alla Claudio Villa per alcuni, alla Modugno, per altri.
E cantava. Cantava mentre batteva il martello sui chiodi, tenendo il ritmo.
Al vespro, le donne del paese si avviavano alla messa serale, armate di “maccaturo”( fazzoletto in testa) e rosario tra le mani e per raggiungere la chiesa dovevamo necessariamente passare davanti alla bottega di mio padre.
E lui cantava.
A volte alla Modugno, altre alla Claudio Villa.
- Tripoli, bel suol d’amore…sarai italiana al rombo del cannon ! – e qui batteva la martellata più forte, in perfetta sincronia col passaggio delle bizzoche, che affrettavano il passo, facendosi il segno della croce.
Fu così che il parroco venne a fargli visita.
- Mastr’ Agostì , mi dovete usare la cortesia di non cantare quando passano le signore che vengano alla messa –
Lui si sistemò il cappello di Panama: - Perché, stono? – gli chiese.
- Non è questo – continuò don Mario – voi sfottete, cantate le canzoni fasciste.
L’ indomani, quando le campane suonarono il vespro, le pie donne, impettite e sprezzanti, si apprestavano a varcare la linea nemica, sicure di aver vinto la battaglia.
- Una mattina mi son svegliato, o bella ciao, bella ciao, ciao, ciao… ed ho trovato l’ invasor ! – e su ” invasor” diede il colpo ( di martello) di grazia.