Per la mini-rubrica “Sorprendente Mente” oggi affronteremo un argomento che interessa tutti, ma proprio tutti. Ognuno di noi, infatti ha sperimentato la paura del giudizio almeno una volta nella vita o addirittura ci convive. L’individuo, in genere, sente il bisogno di essere parte del gruppo sociale di riferimento e quindi di essere “accettato” agli altri e, per tale motivo, tende a fornire un’immagine di sé che si rifà ai criteri della desiderabilità sociale.
La parte interessante, infatti, a mio avviso, riguarda le azioni che questa paura ci spinge a fare e le reazioni che ci porta ad avere. Ma andiamo nello specifico. Già da bambini si cerca l’approvazione dei genitori e ci si regola verso quei comportamenti che portano gratificazione relazionale. A volte, per ottenere tale risultato, si cerca di dare un’immagine di sé che non corrisponde proprio a quella reale, ma che “ci serve” per essere approvati.
Gli esempi più chiari ci vengono dal rapporto con la scuola. Se un bambino sa che la mamma sarà contenta e lo gratificherà nel momento in cui otterrà buoi voti, cercherà di ottenerli e, nel farlo, proverà un certo livello d’ansia. Questa sarà percepita su due step in quanto riguarderà, i primis il giudizio del maestro che darà il voto e poi quello della madre. Va sottolineato che tale ansia non sarà di matrice patologica, ma risulterà accettabile e gestibile in quanto adeguata alla situazione. Nel momento in cui, invece, la paura del giudizio enfatizzi il livello di ansia da prestazione, la reazione psicologica diventa spropositata sia per intensità che per durata, comportando sofferenza psichica e notevoli difficoltà emotive. In particolare, nei bambini possono comparire reazioni di evitamento della situazione, come ad esempio il “non voglio andare a scuola” o comportamenti provocatori o, ancora tendenza all’isolamento. Negli adolescenti, invece, s riscontrano modalità tese all’eccessiva meticolosità nella ricerca della “perfezione”, o, in maniera totalmente simmetrica, un menefreghismo totale che investe la situazione stressante.
Orbene, quante volte è capitato che studenti brillanti e preparatissimi non riuscissero a proferire parola ad un esame universitario o che prendessero un voto che no rendesse giustizia ai loro sacrifici? Ecco: per questo bisogna dire “grazie” alla paura del giudizio. Da adulti, con l’accettazione i sé e delle proprie caratteristiche, le critiche vengono ascoltate e comprese e, per quanto dure, comunque non riescono a condizionare l’esistenza in modo significativo. Quando questo processo non avviene, ci si ritrova dominati dall’importanza del giudizio altrui restandone prigionieri ed attuando strategie reattive disfunzionali. Nei casi più eclatanti ci si trova, dunque, di fronte a disturbi si ansia generalizzata o sociale, che può degenerare implicando seri condizionamenti comportamentali. Quando, infatti ci si autoconvince di essere limitati, così come percepiti nel giudizio che gli altri hanno di noi, o, peggio ancora che noi stessi abbiamo attribuito al pensiero degli altri su di noi, ogni azione sarà appesantita da rimuginio.
Tutto ciò perché, scomodando Freud, il nostro Super-Io si sentirà in diritto di intervenire su ogni nostra azione o anche solo desiderio in modo rigido e punitivo. Per tale motivo è bene andare verso l’accettazione di sé ove il primo passo è il riconoscerci per ciò che siamo lasciando cadere le maschere che hanno fatto anche da scudo verso la società. Il secondo punto è comprendere che il giudizio non è qualcosa che imprigiona la persona, ma un punto di vista differente e, a volte, non aderente alla realtà oggettiva. Ma di questo magari parleremo in un articolo specifico perché ci sarebbe veramente molto da dire. Tornano alle reazioni dovute, ricordiamo che Nietzsche diceva che “Il punto è sapere fino a che punto tale giudizio favorisce la vita” e che “dobbiamo allontanare da noi il cattivo gusto di voler coincidere con gli altri”. Ciò detto, voglio riportare una storia popolare iraniana che esplicita n maniera tanto semplice quanto superba le dinamiche tra giudizio e reazioni.
“Nella favolosa città di Teheran, si sta svolgendo un censimento sulla popolazione e tutti i cittadini, vi si devono recare per certificare la loro esistenza. Un vecchio con il nipotino, abitanti sulle montagne, in un villaggio molto lontano dalla capitale, si preparano per fare questo lungo viaggio.
A disposizione hanno un solo asinello. Pian piano si incamminano, per potersi presentare ai funzionari addetti al censimento. Mentre il bambino è seduto sul dorso dell’asino e il vecchio gli cammina accanto, incontrano un gruppo di persone e dopo averle superate, quando queste si allontanano, il vecchio percepisce i loro commenti: “Guarda come è maleducato quel bambino, lui sta sull’asino, mentre il vecchio che ha le gambe stanche, cammina a piedi…” Il vecchio non dice nulla, fa scendere il bambino e sale sull’asino. Incontrano un altro gruppo di persone e dopo averle superare, di nuovo sente dei commenti: “Guarda quel vecchio, che egoista, con un bambino così piccolo, con le gambe così corte, lui sta sull’asino e il povero bimbo, deve corrergli appresso….”
Il vecchio, non commenta, ma prende il bambino, facendolo sedere sul dorso dell’asino vicino a sé.
Incontrano un altro gruppo di persone e dopo averle superare, sente nuovamente dei commenti: “Hai visto quei due lì? Con un asinello così piccolo, gli stanno sopra entrambi, finiranno per sfiancarlo…”Il vecchio, ancora una volta non dice nulla, ma prende il bambino per mano, scendendo dall’asino ed insieme si incamminano a piedi .Dopo qualche chilometro incontrano ancora delle persone, che li salutano, ma mentre si allontanano, queste, commentano ridacchiando: “Avete visto quei due lì? Devono essere proprio stupidi! Hanno un asino a disposizione e vanno a piedi.”
A voi le conclusioni