A norma dell’art. 1917 c.c. “Assicurazione della responsabilità civile” l’assicuratore è obbligato a tenere indenne l’assicurato di quanto questi, in conseguenza del fatto accaduto durante il tempo dell’assicurazione, deve pagare ad un terzo, in dipendenza della responsabilità dedotta nel contratto, fatta eccezione per i fatti di origine dolosa.
Detto regime (loss occurence – insorgenza del danno) differisce dall’altro, molto in uso tra le compagnie assicurative (specie in ambito medico), conseguente all’inserimento nel contratto di assicurazione della clausola claims made (a richiesta fatta), ove la copertura assicurativa opera anche se il cliente non era assicurato al momento del danno, purché lo fosse al momento della richiesta del risarcimento dei danni (claims made puro), ovvero nel caso in cui sia il danno che la domanda di risarcimento si siano verificati nel periodo di validità della polizza (claims made impuro).
La deroga al regime ordinario del loss occurence viene ricondotto dalle compagnie assicurative su di un piano squisitamente economico; si sostiene che “le società devono essere in grado di comprendere se un determinato prodotto assicurativo sia stato o meno redditizio nel periodo di riferimento”, esigenza di certezza che verrebbe meno se, ad esempio, il danneggiato chiedesse il risarcimento per fatti accaduti durante la vigenza della polizza, ma in epoca successiva alla sua scadenza.
La validità di dette clausole è stata attestata da Cass. Civ. Sez. Unite 06/05/2016 n. 9140.
Validità in precedenza posta in discussione da chi sostiene che la clausola claims made, legando la copertura dei sinistri alla condizione che ne venga chiesto il ristoro entro un certo periodo di tempo, decorso il quale cessa ogni obbligo di manleva per la compagnia, stravolgerebbe, a danno dell’assicurato, la struttura tipica del contratto, quale delineato nell’art. 1917 c.c.; sicché la clausola sarebbe nulla perché vanificherebbe la causa del contratto di assicurazione.
Sul punto la Corte ha tuttavia rilevato che sul piano strettamente dogmatico la tesi dell’intangibilità del modello codicistico si scontra contro il chiaro dato testuale costituito dall’art. 1932 c.c., che tra le norme inderogabili non menziona l’art. 1917 c.c., comma 1. Il che, in via di principio, consente alle parti di modulare, nella maniera ritenuta più acconcia, l’obbligo del garante di tenere indenne il garantito “di quanto questi, in conseguenza del fatto accaduto durante il tempo dell’assicurazione“, deve pagare a un terzo.
Certo è che l’inserimento della clausola claims made nel contenuto del contratto di assicurazione non ne stravolge la funzione, al punto di determinare la nascita di un nuovo atipico modello contrattuale, soggetto al giudizio di meritevolezza di cui al secondo comma dell’art. 1322 c.c..
Sotto tale punto di vista si è espressa la Cass. civ. a Sez. Unite, con sentenza n. 22437 del 24/9/2018, enunciando il seguente principio “Il modello dell’assicurazione della responsabilità civile con clausole “on claims made basis”, che è volto ad indennizzare il rischio dell’impoverimento del patrimonio dell’assicurato pur sempre a seguito di un sinistro, inteso come accadimento materiale, è partecipe del tipo dell’assicurazione contro i danni, quale deroga consentita all’art. 1917 c.c., comma 1 non incidendo sulla funzione assicurativa il meccanismo di operatività della polizza legato alla richiesta risarcitoria del terzo danneggiato comunicata all’assicuratore. Ne consegue che, rispetto al singolo contratto di assicurazione, non si impone un test di meritevolezza degli interessi perseguiti dalle parti, ai sensi dell’art. 1322 c.c., comma 2, ma la tutela invocabile dal contraente assicurato può investire, in termini di effettività, diversi piani, dalla fase che precede la conclusione del contratto sino a quella dell’attuazione del rapporto, con attivazione dei rimedi pertinenti ai profili implicati, ossia (esemplificando): responsabilità risarcitoria precontrattuale anche nel caso di contratto concluso a condizioni svantaggiose; nullità, anche parziale, del contratto per difetto di causa in concreto, con conformazione secondo le congruenti indicazioni di legge o, comunque, secondo il principio dell’adeguatezza del contratto assicurativo allo scopo pratico perseguito dai contraenti; conformazione del rapporto in caso di clausola abusiva (come quella di recesso in caso di denuncia di sinistro)“.
D’altra parte, la clausola in esame, orami, ha una connotazione normativa. Rileva la Cassazione (n. 22437/2018) “anche nel nostro ordinamento l’assicurazione secondo il modello delle clausole claims made ha trovato, assai di recente, espresso riconoscimento legislativo, a seguito degli interventi recati, in particolare, dalla L. 8 marzo 2017, n. 24, art. 11 e D.L. 13 agosto 2011, n. 138, art. 3, comma 5, lett. e), (convertito, con modificazioni, dalla L. 14 novembre 2011, n. 148), come novellato dalla L. 4 agosto 2017, n. 124, art. 1, comma 26. La prima disposizione, concernente l’obbligo (previsto dalla medesima L. n. 24, art. 10) di assicurazione delle strutture sanitarie per la responsabilità civile verso i terzi e i prestatori d’opera (che riguarda anche la stipula di polizze per la copertura della responsabilità civile verso terzi degli esercenti le professioni sanitarie di cui si avvalgano, ma non già dei sanitari “liberi professionisti”, ai sensi dello stesso art. 10, comma 2 per i quali trova applicazione l’art. 3 innanzi citato), stabilisce, anzitutto, che la “garanzia assicurativa deve prevedere una operatività temporale anche per gli eventi accaduti nei dieci anni antecedenti la conclusione del contratto assicurativo, purché denunciati all’impresa di assicurazione durante la vigenza temporale della polizza”. La norma prevede, poi, che, in caso di “cessazione definitiva dell’attività professionale per qualsiasi causa”, la garanzia debba contemplare “un periodo di ultrattività della copertura per le richieste di risarcimento presentate per la prima volta entro i dieci anni successivi e riferite a fatti generatori della responsabilità verificatisi nel periodo di efficacia della polizza, incluso il periodo di retroattività della copertura”. Una tale ultrattività “è estesa agli eredi e non è assoggettabile alla clausola di disdetta”. E’ evidente che il meccanismo presupposto dall’art. 11 in esame non sia quello legato al “fatto accaduto durante il tempo dell’assicurazione” di cui all’art. 1917 c.c., comma 1 non avendo altrimenti ragion d’essere la previsione, al tempo stesso, di un periodo di retroattività e uno di ultrattività della copertura, sebbene, poi, la norma, in base alla sua formulazione letterale, evochi, per la copertura retroattiva, lo schema della deeming clause, innanzi richiamata, facendo riferimento alla sola “denuncia” dell’evento alla compagnia di assicurazione. Del D.L. n. 138 del 2011, art. 3, il comma 5 (convertito, con modificazioni, dalla L. n. 148 del 2011), novellato nel 2017, riguarda invece l’obbligo di “stipulare idonea assicurazione” posto a carico dell’esercente una libera professione in relazione ai rischi da questa derivanti. Ferma la libertà contrattuale delle parti, le condizioni generali di polizza “prevedono l’offerta di un periodo di ultrattività della copertura per le richieste di risarcimento presentate per la prima volta entro i dieci anni successivi e riferite a fatti generatori della responsabilità verificatisi nel periodo di operatività della copertura”. La previsione è, poi, resa applicabile “alle polizze assicurative in corso di validità alla data di entrata in vigore della presente disposizione”. Nel caso dell’illustrato comma 5, sembra evidente, quindi, che il meccanismo prefigurato sia quello di una clausola claims made su cui si viene ad innestare una sunset clause. Non può non rammentarsi, infine, che, sulla scia del D.L. n. 138 del 2011, originario art. 3, comma 5, (convertito, con modificazioni, dalla L. n. 148 del 2011) e del D.P.R. 7 agosto 2012, n. 137, correlato art. 5, la L. 31 dicembre 2012, n. 247, art. 12, comma 1, sul nuovo ordinamento della professione forense, ha imposto agli avvocati analogo espresso obbligo di assicurazione per la responsabilità civile, demandando (comma 5) al Ministro della giustizia la previsione, e l’aggiornamento, delle condizioni essenziali e dei massimali minimi di polizza. Ne è scaturito il D.M. 22 settembre 2016, il cui art. 2, rubricato “Efficacia nel tempo della copertura assicurativa”, ha stabilito, in linea con il sistema claims made (con variante sunset clause), che la “assicurazione deve prevedere, anche a favore degli eredi, una retroattività illimitata e un’ultrattività almeno decennale per gli avvocati che cessano l’attività nel periodo di vigenza della polizza”, con esclusione, in capo all’assicuratore, della facoltà di recesso dal contratto “a seguito della denuncia di un sinistro o del suo risarcimento, nel corso di durata dello stesso o del periodo di ultrattività“.