Lex – A norma dell’art. 167 c.c. “Ciascuno o ambedue i coniugi, per atto pubblico, o un terzo, anche per testamento, possono costituire un fondo patrimoniale, destinando determinati beni, immobili o mobili iscritti in pubblici registri, o titoli di credito, a far fronte ai bisogni della famiglia. La costituzione del fondo patrimoniale per atto tra vivi, effettuata dal terzo, si perfeziona con l’accettazione dei coniugi. L’accettazione può essere fatta con atto pubblico posteriore. La costituzione può essere fatta anche durante il matrimonio. I titoli di credito devono essere vincolati rendendoli nominativi con annotazione del vincolo o in altro modo idoneo.”.
Il fondo patrimoniale non rappresenta un diverso regime patrimoniale della famiglia, alternativo alla comunione ed alla separazione dei beni, piuttosto, esso si innesta in uno dei due regimi enunciati, costituendo un vincolo su alcuni beni, al solo fine di fronteggiare i bisogni della famiglia.
Esso si costituisce per atto pubblico, integrando a tutti gli effetti una convenzione matrimoniale (art. 162 c.c.); da un terzo per atto pubblico inter vivos, che si perfeziona con l’accettazione a sua volta per atto pubblico da parte dei coniugi, ancorché successiva alla costituzione del fondo (Del Vecchio, Contributo alla analisi del fondo patrimoniale costituito dal terzo, in RN, 1980, 317). Può essere altresì costituito per testamento rappresentando, nel qual caso, o un’attribuzione a titolo di legato o un’istituzione di erede ex re certa, necessitando dell’accettazione dei coniugi.
Per effetto del vincolo, si innesta una particolare disciplina di amministrazione dei beni conferiti, con limiti di alienabilità e, per quel che concerne la presente indagine, di espropriabilità, in deroga al disposto di cui all’art. 2740 c.c. (“Il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri.”).
E’ vero, infatti che, a seguito del vincolo di destinazione, i beni non potranno essere aggrediti da qualsiasi creditore, bensì solo da quelli titolari di crediti sorti per il soddisfacimento dei bisogni della famiglia. Sicché può porsi il sospetto che il fondo patrimoniale sia ideato ed utilizzato dai coniugi con l’intenzione di sottrarre dall’esecuzione beni personali, piuttosto che porre al riparo i bisogni della famiglia.
E’ opinione diffusa che per bisogni della famiglia si ricomprendono quei debiti contratti per esigenze primarie della famiglia, quali, ad esempio, il mantenimento, le cure mediche, l’abitazione, l’educazione della prole, per citarne alcuni.
La Cassazione, tuttavia, precisa che “i bisogni della famiglia sono da intendersi non in senso restrittivo, come riferentesi cioè alla necessità di soddisfare l’indispensabile per l’esistenza della famiglia, bensì (analogamente a quanto, prima della riforma di cui alla richiamata L. n. 151 del 1975, avveniva per i frutti dei beni dotali) nel senso di ricomprendere in detti bisogni anche quelle esigenze volte al pieno mantenimento ed all’armonico sviluppo della famiglia, nonché al potenziamento della sua capacità lavorativa, restando escluse solo le esigenze voluttuarie o caratterizzate da intenti meramente speculativi. In altri termini, i bisogni della famiglia debbono essere intesi in senso lato, non limitatamente cioè alle necessità c.d. essenziali o indispensabili della famiglia ma avendo più ampiamente riguardo a quanto necessario e funzionale allo svolgimento e allo sviluppo della vita familiare secondo il relativo indirizzo, e al miglioramento del benessere (anche) economico della famiglia, concordato ed attuato dai coniugi.”.
D’altra parte, aggiunge la Corte che “ …… la circostanza che il debito sia sorto nell’ambito dell’impresa o dell’attività professionale non è di per sé idonea ad escludere in termini assoluti che esso sia stato contratto per soddisfare i bisogni della famiglia ….” (Cass. 2904/2021).
Tanto non esclude la possibilità per i creditori in genere di agire con azione revocatoria ex art. 2901 c.c., al fine di far dichiarare l’inefficacia della costituzione del fondo patrimoniale, in quanto atto a titolo gratuito. Tale norma “nel dare la possibilità al creditore di chiedere che siano dichiarati inefficaci nei suoi confronti gli atti di disposizione del patrimonio con i quali il debitore renda anche solo più difficile o più onerosa la soddisfazione dei suoi diritti, esige la conoscenza, nel debitore medesimo, del pregiudizio che l’atto arrecava alle ragioni del creditore o, trattandosi di atto anteriore al sorgere del credito, la dolosa preordinazione dell’atto stesso, al fine di pregiudicarne le ragioni (art. 2901, comma 1, n. 1). Peraltro, trattandosi di atto a titolo gratuito, sono del tutto irrilevanti le problematiche connesse alla partecipatio fraudis del terzo, segnatamente disciplinate nel n. 2 della medesima disposizione: e invero, con riferimento a tali atti, non rileva l’atteggiamento psicologico del terzo, considerato che al beneficiario, qui certat de lucro captando, la legge preferisce tout court il creditore, qui certat de damno vitando.” (Cass. 21808/2015).
Per completezza espositiva, deve sottolinearsi che a seguito delle “Misure urgenti in materia civile, fallimentare civile e processuale civile e di organizzazione e funzionamento dell’amministrazione giudiziaria”, contenute nel D.L. 27.6. 2015, n. 83, in vigore il 27 giugno 2015, convertito dalla L. 06.08.2015, n. 132, L. 6.8.2015, n. 132, è stato introdotto nel codice civile l’art. 2929 bis (successivamente modificato con il D.L. 3.5.2016, n. 59, convertito dalla L. 30.6.2016, n. 119).
Ai sensi dell’art. 2929 bis “Il creditore che sia pregiudicato da un atto del debitore, di costituzione di vincolo di indisponibilità o di alienazione, che ha per oggetto beni immobili o mobili iscritti in pubblici registri, compiuto a titolo gratuito successivamente al sorgere del credito, può procedere, munito di titolo esecutivo, a esecuzione forzata, ancorché non abbia preventivamente ottenuto sentenza dichiarativa di inefficacia, se trascrive il pignoramento nel termine di un anno dalla data in cui l’atto è stato trascritto. La disposizione di cui al presente comma si applica anche al creditore anteriore che, entro un anno dalla trascrizione dell’atto pregiudizievole, interviene nell’esecuzione da altri promossa. Quando il bene, per effetto o in conseguenza dell’atto, è stato trasferito a un terzo, il creditore promuove l’azione esecutiva nelle forme dell’espropriazione contro il terzo proprietario ed è preferito ai creditori personali di costui nella distribuzione del ricavato. Se con l’atto è stato riservato o costituito alcuno dei diritti di cui al primo comma dell’articolo 2812, il creditore pignora la cosa come libera nei confronti del proprietario. Tali diritti si estinguono con la vendita del bene e i terzi titolari sono ammessi a far valere le loro ragioni sul ricavato, con preferenza rispetto ai creditori cui i diritti sono opponibili. Il debitore, il terzo assoggettato a espropriazione e ogni altro interessato alla conservazione del vincolo possono proporre le opposizioni all’esecuzione di cui al titolo V del libro terzo del codice di procedura civile quando contestano la sussistenza dei presupposti di cui al primo comma o che l’atto abbia arrecato pregiudizio alle ragioni del creditore o che il debitore abbia avuto conoscenza del pregiudizio arrecato. L’azione esecutiva di cui al presente articolo non può esercitarsi in pregiudizio dei diritti acquistati a titolo oneroso dall’avente causa del contraente immediato, salvi gli effetti della trascrizione del pignoramento.”.
Ne deriva, dunque, una tutela rafforzata per il creditore, non più costretto ad attendere la declaratoria di inefficacia dell’atto pregiudizievole, come invece in passato, tale la possibilità per lo stesso di procedere ad immediata esecuzione forzata dei beni confluiti nel fondo.