Di Carmela D’Auria
E poi venne la pandemia, che tutte le feste si portò via…Per mio padre, Babbo Natale era solo un’invenzione dei comunisti, vestito di rosso rivoluzione , con la barba sospetta, per cui in casa nostra gli era vietato entrare, tipo cortina di ferro.Era la Befana a dispensare regali. Tutti gli anni gli stessi: a me il servizio di pentoline e a mio fratello una serie di soldatini, rigorosamente verdi, con l’ elmetto e il colpo in canna: gli stessi giocattoli che “Chiovetto” teneva appesi nel suo negozio e che in questo periodo dell’anno metteva in bella vista fuori insieme ad altri giocattoli, per la gioia di noi bambini, col naso rosso dal freddo e in su per ammirarli e desiderarli, per cui mi convinsi che anche la signora Befana fosse cliente sua.Nel corso di quegli anni collezionai tante di quelle stoviglie, che avrei potuto aprire un ristorante per le bambole e mio fratello, a capo del suo piccolo esercito, avrebbe potuto conquistare Lilliput.A dirla tutta, per mio padre, anche l’Epifania era un’oscura messinscena, di origine clericale, però, ma per non farne una questione politica, taceva e lasciava l’incombenza a mia madre.- La Befana è amica di vostra madre. Qualche volta le ho viste posare la scopa e recitare il rosario insieme. Ma in nessuna di quelle ” bizzoche” che lei frequentava riuscivo ad individuarne una “papabile” per quel ruolo da dispensatrice di sogni. Un giorno, leggendo Topolino, vidi la foto di una Barbie: fu amore a prima vista.Desideravo quella bambola più di ogni altra cosa, dormivo con quel fumetto sotto le lenzuola e sognavo. Sognavo quella bambola bionda, col vestito a pois, come nella foto. Mia madre, per illudermi, mi diceva – Se fai la brava, te la porta la Befana .- E dove la prende – pensavo io – nel negozio di Chiovetto non c’è.Era diventata davvero un’ ossessione.- Ma quanto costa sta cazz’ e bambola? chiese, un giorno, mio padre.- Cinquemila lire – replicò mia madre.- Tra poco arriva la Befana, gliela facciamo porta’? – azzardò lei. – E mandaci lei a comprarla! – le rispose .A comprarla, invece, ci pensò Tonino, il garzone sordomuto di Davide il sarto, che aveva la bottega di fronte a quella di mio padre: con la sua cinquecento rosso amaranto si recò in città, come un vero assistente ” epifanico” per esaudire quello che per me era ormai un desiderio inesaudibile. Da allora, mi fu chiaro che la Befana non avrei dovuto cercarla tra le amiche di mia madre, ma tra le mura accoglienti della mia casa, dove un padre dall’aspetto burbero e una madre che dell’ umiltà faceva virtù , andavano contro tutti i loro principi, per dimostrare che i sogni, se davvero ci credi, possono avverarsi. E la magia è semplice.Quella bambola mi ha accompagnato per tanto tempo: era il baluardo della fantasia, la mia Coppelia, per certi versi; le mie figlie più grandi ci hanno giocato con attenzione, perché conoscevano quanto significasse per me, poi Dalila le tagliò i capelli, perché secondo lei, aveva bisogno di un restyling. – I tempi cambiano – mi dissi. Fino a quando Sofia non le mangiò i piedi. Per la cronaca, Sofia è un cane.(ndr).Ora, tutto questo sembra una vita parallela, leggera e struggente nelle sfumature, a tratti struggente per troppa tenerezza, un giardino segreto che nasconde con libertudine un passato un po’ remoto che accompagna i giorni miei.Fino a qualche anno fa, Dalila mi aiutava nel rito delle calze, appendendole al camino, ora che non crede più nella Befana, la sostituiscono Anya e Mathias, i miei nipotini.Come passa in fretta la fantasia in questo terzo millennio.Loro sono nati e vivono in Inghilterra, figli di una società multietnica e multimediale, a Babbo Natale non spediscono lettere, ma email: ho mostrato loro immagini e pupazzi che raffigurano questa vecchia signora, raccontato la leggenda, ma Anya, con le mani sui fianchi, di chi è sicura di sé, ha esclamato: – She’s a witch, nonna! –