La struttura dell’illecito, quale esso sia, è caratterizzata, sotto il profilo oggettivo, da una condotta (commissiva od omissiva), da un evento di danno e dal nesso di causalità.
Non v’è motivo di ritenere che tale struttura sia mutevole a seconda dei casi, quand’anche si discuta di danno da perdita di chances.
Si pensi, venendo alle ipotesi di chance non pretensiva (su cui si ritornerà), al caso dell’errore diagnostico che ha determinato il ritardo dell’intervento chirurgico del paziente già affetto da un male incurabile, poi deceduto. Qui l’evento di danno non è rappresentato dall’evento morte (certo e non cagionato dal sanitario), bensì è inteso come evento di danno incerto (maggiore sopravvivenza); il ché, ovviamente, non esclude che il paziente (ovvero gli eredi in caso di sua dipartita) sia esonerato dal provare (sebbene col criterio del più probabile che non) il nesso di causalità tra la condotta colpevole dell’autore e l’evento di danno (incerto). Così venendo al caso citato, dovrà fornirsi la prova che se tenuta correttamente la condotta attesa dal sanitario sarebbe residuata in capo al paziente (almeno al cinquantuno per cento) la possibilità di una maggiore sopravvivenza.
E’ di tutta evidenza che se l’evento di danno non si pone nella sua incertezza, non potrà discutersi di danno da perdita di chances, quanto di danno di evento (la perdita anticipata della vita).
Il profilo è espresso in maniera chiara da Cassazione n. 28993/2019.
Per la Corte se la “condotta colpevole “ha cagionato non la morte del paziente (che si sarebbe comunque verificata) bensì una significativa riduzione della durata della sua vita ed una peggiore qualità della stessa per tutta la sua minor durata, in base all’accertamento compiuto dal CTU ….. il sanitario sarà chiamato a rispondere dell’evento di danno costituito dalla perdita anticipata della vita e dalla sua peggior qualità, senza che tale danno integri una fattispecie di perdita di chance – senza, cioè, che l’equivoco lessicale costituito dal sintagma “possibilità di una vita più lunga e di qualità migliore” incida sulla qualificazione dell’evento, caratterizzato non dalla “possibilità di un risultato migliore”, bensì dalla certezza (o rilevante probabilità) di aver vissuto meno a lungo, patendo sofferenze fisiche o spirituali.”. Diverso il caso in cui la “condotta colpevole del sanitario ha avuto, come conseguenza, un evento di danno incerto: le conclusioni della CTU risultano, cioè, espresse in termini di insanabile incertezza rispetto all’eventualità di maggior durata della vita e di minori sofferenze, ritenute soltanto possibili alla luce delle conoscenze scientifiche e delle metodologie di cura del tempo. Tale possibilità -i.e. tale incertezza eventistica (la sola che consenta di discorrere legittimamente di chance perduta) – sarà risarcibile equitativamente, alla luce di tutte le circostanze del caso, come possibilità perduta – se provato il nesso causale, secondo gli ordinari criteri civilistici tra la condotta e l’evento incerto (la possibilità perduta) – ove risultino comprovate conseguenze pregiudizievoli (ripercussioni sulla sfera non patrimoniale del paziente) che presentino la necessaria dimensione di apprezzabilità, serietà, consistenza.”.
Ed allora, rilevato il distinguo tra chance patrimoniale (che “postula la preesistenza di una situazione positiva, un quid su cui andrà ad incidere la condotta colpevole del danneggiante impedendone la possibile evoluzione migliorativa” – esempio “l’azienda che prende parte ad una gara ad evidenza pubblica è portatrice di professionalità e strutture operative che preesistono all’intervento eliminativo dell’ente pubblico che ha bandito la gara per poi impedirne illegittimamente la partecipazione”) e chance non patrimoniale (“l’apparire del sanitario sulla scena della vicenda patologica lamentata dalla paziente coincide sincronicamente con la creazione di una chance, prima ancora che con la sua eventuale cancellazione colpevole, e si innesta su di una preesistente situazione non favorevole – una situazione cioè patologica – rispetto alla quale non può in alcun modo rinvenirsi un quid inteso come un pregresso positivo, e positivamente identificabile ex ante” – in breve – “il paziente è portatore di una condizione di salute che, prima dell’intervento del medico, rappresenta un pejus, e non un quid in positivo, sul piano della chance, allo stato inesistente senza l’intervento medico.”), può affermarsi che “L’attività del giudice dovrà, pertanto, muovere dalla previa disamina della condotta (e della sua colpevolezza) e dall’accertamento della relazione causale tra tale condotta e l’evento di danno (la possibilità perduta, ovverosia il sacrificio della possibilità di conseguire un risultato migliore), senza che i concetti di probabilità causale e di possibilità (e cioè di incertezza) del risultato realizzabile possano legittimamente sovrapporsi, elidersi o fondersi insieme” (Cass. 28993/2019).
Quanto alla liquidazione del danno da perdita di chances, le difficoltà sono legate al fatto che la sua entità deve essere rapportata alla percentuale dell’ipotetica possibilità di raggiungimento del risultato sperato.
La giurisprudenza, sul punto, si alterna tra valutazioni di ordine squisitamente equitativo, oppure applicazioni matematiche indicate nelle consulenze d’ufficio (si cita ad esempio il caso di una liquidazione di Tribunale: il risarcimento sarà corrispondente al valore tabellare medio individuato dalle Tabelle di Milano per la perdita del figlio, ridotto del 10% in ragione della normale percentuale di sopravvivenza alla patologia da cui era affetta la piccola Tizia, quantificata dal CTU nel 90% a venti anni in caso di corretto trattamento, ulteriormente abbattuta del 35% in considerazione delle condizioni sanitarie specifiche della neonata). Con la precisazione che l’accertamento del valore della chance patrimoniale, potrà risultare maggiormente agevole perché fondato su valori oggettivi (ad es., nel caso di appalto pubblico, il risarcimento per la perdita di chance dell’impresa illegittimamente esclusa, è sovente calcolato dai giudici amministrativi nella misura del 10% del valore dell’appalto).