Ci lasciamo alle spalle l’argomento molto dibattuto della settimana scorsa, il love bombing, per trattare oggi di “certi schemi”, che sono due parole che posso essere interpretate a seconda del punto di vista.

Quando frequentavo l’università, c’era un docente che aveva tutta la mia stima, ma che purtroppo è venuto a mancare recentemente. Il professore in questione era il Dott. Celestino Genovese e la prima volta che lo vidi pensai potesse essere un incrocio tra Freud e Babbo Natale. Durante una sua lezione, in particolare, ci fece delle domande che mi insegnarono molto. Immaginatevi un’aula magna gremita di allievi che pendevano dalle sue labbra desiderosi di impossessarsi delle sue conoscenze. Ebbene, lui ci chiese: “quando avete appuntamento con una persona e questa arriva in anticipo, che cosa pensate?” E la maggior parte di noi, giovanissimi in competizione per essere i primi a dare la “risposta giusta” e farci notare rispose “è una persona ansiosa”. Al che il professore chiese “e se arriva in ritardo”? E noi, sempre più entusiasti, ci affrettammo ad affermare con assoluta sicurezza “è una persona oppositiva”. Il professore, ancora una volta e senza esprimersi sulla nostra riposta, fece la sua domanda “E se questa persona arriva puntuale spaccando il minuto?” e noi, sempre più gasati e senza pensarci due volte rispondemmo “È un ossessivo”.  Soddisfatti di aver “sfoggiato” anche in minima parte il nostro studio del manuale, ansiosi del suo parere, aspettammo le sue parole.  

Questa volta il professore ci rispose, ma con una nuova domanda: “e secondo voi, uno normale quando deve arrivare ad un appuntamento?” le sue parole ebbero l’effetto del gelo che spense tutto il nostro fervore e ci lasciarono nel silenzio più imbarazzante. Eravamo talmente presi dal voler raggiungere l’obbiettivo prefissatoci, che non ci eravamo resi conto di una cosa. La cosa più importante. Avevamo la visuale limitata, detta “ad imbuto” e, per questo, ci eravamo limitati anche nel ragionamento cercando freneticamente delle etichette che avevamo appreso dal poco studio fatto fino a quel momento. Ecco. E qui c’era la differenza tra l’uomo e i ragazzi, tra il professionista e i dilettanti e tra il docente e gli studenti. 

A questo punto mi viene in mente un detto della saggezza popolare che spiega, in modo semplice e squisitamente pratico, il concetto di ricerca della convenienza che porta ad adattare fatti ad esigenze dettate da facili entusiasmi e-o antipatie immotivate.  Nello specifico, trattasi del famoso “addò viri e addò ciechi” che tradotto letteralmente significa “dove vedi e dove sei cieco” o, meglio ancora, dove vedi e dove non vuoi vedere”. Quest’ultimo concetto (di cui troverete la spiegazione storica al link https://www.napolitoday.it/tag/addo-vede-i-addo-ceca/) si collega anche ad un altro punto fermo delle nostre vite: il bisogno degli schemi e la tendenza a mettere delle etichette. Gli schemi, come le abitudini, ci danno una sorta di certezza, fanno sì che pensiamo di avere “il controllo” e diventano una specie di confort zone da cui difficilmente si vuole e/o si riesce ad uscire. Alcune abitudini sono sane, altre invece, sono nocive e ci trattengono lasciandoci immobili in una sorta di pantano emotivo. Basta pensar che per il progresso e l’evoluzione non ci sia cosa più deleteria delle azioni con sfondo di problem solving rigido.

Spiegandomi meglio, non c’è cosa più “bloccante” delle azioni ripetute in modo automatico che si continuano a perpetrare nonostante non portino risultati soddisfacenti.  La tipica frase che racchiude quanto detto è “abbiamo sempre fatto così”. Volendovi fornire un’immagine che vi paventi quanto detto, vi invito a pensare ad un bambino che nel gioco ove si inseriscono degli oggetti nella scatola con le fessure di determinate forme, insista nel voler inserire la pallina nella fessura triangolare. Il risultato non è soddisfacente, anzi, è frustrante e diverse sono le possibilità. O si forza la pallina finché non entra lo stesso nella fessura (magari danneggiando uno o entrambi gli oggetti), o si rinuncia, o si cambia strategia spostando l’attenzione sulla fessura circolare ove la pallina potrà entrare. Quest’ultimo passaggio è l’abbandono di un problem solving rigido con una visuale ad imbuto e l’adozione di un problem solving funzionale basato su una visione adeguata del contesto e della realtà.  I bambini lo imparano anche attraverso il sistema “per prove ed errori”, mentre i “grandi” dovrebbero fare un passo indietro e, magari anche imparare dai bambini soprattutto sulle modalità relazionali. Rispetto le etichette”, di cui ho accennato pocanzi, è veramente quotidiano l’utilizzo che se ne fa. Ad esempio, persone che non si conoscono, si etichettano tra di loro per caratteristiche o sensazioni. Queste sensazioni, spesso” definite e spiegate” con il termine “a pelle” non sono altro che proiezioni. La parola proiezione deriva dal latino “proicere”, cioè gettare avanti ed infatti consiste nello “spostare” sentimenti, parti di sé e/o caratteristiche proprie,  su “altro da sé”, ossia su altre persone  o oggetti. È un meccanismo di difesa arcaico, su cui ci sarebbe davvero tanto da dire, che troviamo però anche nella saggezza popolare ove si esplicita nel modo migliore possibile con il detto “il bue chiama cornuto l’asino”.

Riflettiamo, gente, riflettiamo.

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