Editoriale – Il pianeta è sempre più popolato di anziani. Il cambiamento è sotto i nostri occhi. In tutto il mondo si contano milioni di persone ultrasessantenni, con proiezioni che si spingono verso i 2,4 miliardi per il 2050.
Per la prima volta nella storia dell’umanità ci saranno più ultra sessantenni che giovani sotto i 16 anni.
Già oggi, siamo il Paese con la maggiore percentuale di anziani d’Europa. Nel 2050 l’ISTAT prevede che in Italia gli anziani saranno 21.775.809, il 34,3% della popolazione, passando quindi da un quinto a un terzo dei residenti.
Malgrado questi numeri, tuttavia, l’Italia “non è un Paese per anziani”, non si tratta, come si dice nella ricerca, di mettere in campo “grandi progetti di riforma”, quanto piuttosto di intervenire nelle scelte di amministratori, operatori sociali e sanitari, progettisti, gestori dei servizi sociali e sanitari, gestori dei servizi di trasporto, ecc. per fare in modo che il loro agire tenga conto della crescente presenza di anziani. Un cambiamento, questo, che richiede innanzitutto uno straordinario impegno politico e culturale nella elaborazione di una nuova idea del corso di vita delle persone capace di superare stereotipi desueti.
Questo cambiamento è già nei fatti: richiede solo di essere riconosciuto e governato con intelligenza e sensibilità. Gli oltre 13 milioni di anziani italiani stanno rivoluzionando il modo di vivere la terza e quarta età. Il paradigma concreto di questa rivoluzione silenziosa, quotidiana, molecolare è la longevità attiva. Il cuore di questa nuova visione della terza e quarta età è la vita di relazione che si configura non solo come la chiave della soddisfazione per la propria esistenza – il Censis (2015) ha rilevato che l’84,5% degli anziani valuta positivamente la propria vita -, ma anche come forma di prevenzione primaria rispetto all’insorgere di patologie, in particolare quelle indotte dalla solitudine o dal ricorso eccessivo e inappropriato a farmaci e prestazioni sanitarie. Posto in questi termini il problema di fare dell’Italia un Paese anche per anziani comporta di ripensare quell’insieme servizi, attività, comportamenti essenziali nella vita quotidiana, utilizzando come parametro di riferimento la loro fruibilità da parte di persone anziane.
In questa prospettiva gli stessi fondamentali aspetti sanitari e assistenziali vanno considerati solo uno degli aspetti delle politiche verso la terza età, evitando quindi di essere l’unica dimensione in cui l’anziano viene considerato. Questo approccio è stato riconosciuto come una delle tre direttive prioritarie del Piano internazionale d’azione sull’invecchiamento stilato a Madrid e approvato dalle Nazioni Unite nel 2002.
A conclusione dell’editoriale della guida dell’OMS “Global Age-friendly Cities” si dice: “Il vero problema consiste allora nel domandarsi quali siano le caratteristiche che il contesto urbano deve assumere perché l’anziano autosufficiente possa conservare la libertà economica, l’autorità e il rispetto di chi lo circonda, l’autonomia, la dignità e le connessioni sociali necessari, da un lato per il suo benessere e dall’altro per la sua capacità di concorrere alla creazione di ricchezza e benessere individuale e collettivo”.