Tre bandane e una corona di Mimmo Laghezza, tratto da Volti dal futuro, edito dalla Multimage di Firenze, la casa editrice dei diritti umani, è una sorta di racconto realistico molto toccante, denso e divertente nel contempo.
L’autore, attraverso argute battute di spirito, ci porta all’interno dell’attuale dramma irrisolto dell’Ilva di Taranto, sempre al centro dei suoi interessi di scrittore e giornalista. Le protagoniste sono piccole pazienti di un ospedale tarantino, ricoverate a causa dell’inquinante complesso industriale pugliese. Il testo ha l’intenzione di destare l’attenzione dell’opinione pubblica sul disastro ambientale, che si perpetua attualmente nell’area tarantina. L’Ilva, il più imponente complesso siderurgico d’Europa, si estende su un’area tre volte superiore la stessa città di Taranto e la dispersione dei gas combusti nell’atmosfera è continua, nonostante le numerose vittime tra adulti e bambini. Gli alunni delle scuole tarantine esorcizzano la paura di morire attraverso i loro disegni, nei quali abbondano le ciminiere fumanti di diossina. Parlare di morte ai bambini significa violarne la proiezione naturale dell’essere umano verso il futuro.
Le varie Ilve del pianeta e la pandemia, in particolare, hanno posto in evidenza definitivamente la dicotomia tra diritto alla salute ed il diritto al lavoro. L’industrializzazione ha posto in essere il problema dell’inquinamento, ma il silenzio delle istituzioni e la difesa dell’economia a tutti i costi continuano ad offendere e violentare la dignità dell’essere umano. Già altri autori del 1800, come lo stesso Van Gogh, nelle Lettere al fratello Theo, hanno descritto molto bene la condizione dei lavoratori nelle fabbriche e nelle miniere. Nella lettera dell’aprile del 1879, Vincent, riferisce: “Non molto tempo fa ho fatto un’escursione molto interessante: sono stato sei ore in miniera, tra l’altro una delle più vecchie e pericolose della zona, quella di Marcasse (Belgio). Gode di una pessima reputazione, perché sono in molti a morirci, sia quando scendono sia quando risalgono, per avvelenamento o in seguito ad esplosioni, infiltrazioni d’acqua o per il crollo di vecchie gallerie. E’ un luogo tetro e tutto a prima vista ha un aspetto cupo e sinistro… Avevo un’ottima guida, un uomo che lavora in quella miniera da trentatré anni, una persona che mi ha spiegato tutto molto bene, perché riuscissi a capire bene tutto quanto. Siamo scesi ad una profondità di 700 metri ed abbiamo esplorato i recessi più segreti di quel mondo sotterraneo… Questa miniera ha cinque livelli, ma i tre superiori sono ormai abbandonati, non ci lavora più nessuno, perché non c’è più carbone. I maintenages sono le celle più lontane dall’uscita. Immagina Theo, una fila di celle in una galleria piuttosto stretta e con il soffitto basso sostenuto da pali. In ognuna di queste un minatore, vestito con una rozza tuta, nero e sudicio come uno spazzacamino, estrae il carbone alla luce fioca di una minuscola lampada. In alcune celle il minatore riesce a stare in piedi; in altre è costretto a stare coricato. La disposizione ricorda le celle di un alveare o il corridoio lugubre di una prigione sotterranea. Alcuni minatori lavorano nei maintenages, altri caricano il carbone su vagoncini, che si muovono sulle rotaie. Quest’ultimo lavoro è svolto in gran parte dai bambini, sia maschi che femmine…
La testimonianza del nostro grande pittore e narratore d’ eccellenza e di Mimmo Laghezza ci costringono ad una conclusione ineludibile: la difesa del diritto alla vita, alla salute ed al lavoro deve essere perpetuata in ogni tempo e luogo, perché purtroppo l’asservimento dell’essere umano all’utile, da parte del sistema economico, risulta essere una costante attuale dannosa per l’uomo e per il pianeta.