La storia di Giulia e Filippo richiama alla memoria la favola esopica de Il lupo e l’agnello: l’ingenuità, l’innocenza, la solitudine e la dolcezza dell’una a cospetto con la pretestuosità, l’invidia e la violenza dell’altro.
Nel villaggio globale la vicenda di Giulia Cecchettin e Filippo Turetta è rimbalzata mediaticamente, turbando ed interrogando le coscienze.
Ogni famiglia ha risentito dell’inquietante epilogo in diretta. Dal momento in cui i due ex fidanzati sono scomparsi senza dare più notizie si sono accesi i riflettori sulla coppia in fuga. L’allucinante odissea ha evidenziato la presenza oscura nell’individuo umano di un’ancestrale matrice violenta che l’educazione, l’istruzione, la cultura, la religione e la moralità hanno nel corso dei secoli contenuto e incanalato.
La storia di Giulia e Filippo richiama alla memoria la favola esopica de Il lupo e l’agnello: l’ingenuità, l’innocenza, la solitudine e la dolcezza dell’una a cospetto con la pretestuosità, l’invidia e la violenza dell’altro.
Probabilmente ad entrambi sono mancati due processi formativi fondamentali: l’educazione all’autotutela per Giulia e l’educazione alla perdita per Filippo.
A lei probabilmente sarà mancata la protezione della madre, che avrebbe potuto allertarla e consigliarla; a lui forse è mancata un’attenzione adeguata durante l’infanzia da parte delle figure parentali principali, che non sono riuscite a leggere in lui i segnali di un disagio che probabilmente ha dilaniato la sua esistenza.
Giulia non ha saputo intuire il pericolo insito nell’ultimo appuntamento: avrebbe dovuto ascoltare il timore che sicuramente l’avrà turbata, ma ha voluto seguire la pietà che ha provato per Filippo, illudendosi di rendergli meno amaro l’addio definitivo. Non ha saputo proteggere se stessa, anteponendo l’altro alla sua incolumità. Evidentemente in lei lo spirito da crocerossina l’ha spinta a voler aiutare Filippo ad accettare la separazione da lei. In questa sua decisione ha dimostrato scarso amore per se stessa.
“Ama il prossimo tuo come te stesso” insegna il Cristo. Non ha detto Gesù il Nazareno: Ama il prossimo tuo meno o più di te stesso. Amarsi è questo l’obiettivo di una nuova educazione all’affettività. Amarsi vuol dire stare bene, essere felici, realizzare i propri sogni per aiutare poi gli altri a realizzare i propri. Le nuove generazioni devono essere aiutate a scoprire il senso della propria vita, il valore principe del proprio benessere, allontanando coloro che ledono la loro autostima e minacciano la loro sicurezza.
Probabilmente anche Filippo non è stato attenzionato da bambino, legandosi morbosamente a Giulia dalla quale dipendeva emotivamente ed affettivamente. Non ha sopportato l’idea di poterla perdere ed il malessere provato ha trovato nella soppressione della ex fidanzata l’unica via d’uscita. Un dolore profondo, che non è stato letto in tempo da chi si è occupato di lui fin dall’infanzia, lo ha pervaso e condizionato. Probabilmente un bisogno infinito di considerazione lo ha tormentato fin da piccolo, rovinandogli la giovinezza, fino a trovare poi in Giulia il bene amato, il sole che gli dava colore e nutrimento. Vivere in funzione di lei, della sua attenzione e presenza, ha nutrito finalmente il suo ego, creando in lui una dipendenza assoluta dalla fidanzata e, così, insopportabile gli sarà sembrato poi il suo allontanamento.
Questo efferato delitto, che non trova alcuna giustificazione, ma che ci interroga, come tutti gli altri femminicidi, sulla eziologia del gesto estremo di eliminazione dell’altro, può essere letto anche come una inadeguata reazione all’inattualità del patriarcato, mentalità ormai inaccettabile.
La donna nell’Era dei fasci littori era definita la gioia del focolare, deputata alla procreazione e all’educazione della prole, nonché proprietà del marito. Giovanni Gentile, filosofo, storico della filosofia, pedagogista, politico italiano e teorico del fascismo, nonché direttore della Normale di Pisa, proibì alle donne l’insegnamento alle superiori dell’italiano, delle lettere classiche e della filosofia, in quanto l’Italia fascista necessitava di educatori in cui la forza doveva prevalere sulla dolcezza.
Giulia Cecchettin in un messaggio alla comunità virtuale dei social ha scritto che temeva di lasciare Filippo Turetta, perché era sicura che “lui avrebbe dato di matto”. Un grido di allarme, quello di Giulia, sottovalutato ed inascoltato, perso nella solitudine feroce che l’avvolgeva.