Le fiabe come simbolo della vita; come rappresentazione delle dinamiche relazionali; come rappresentazione del bene e del male attraverso i personaggi che le animano; come mondo incantato dove perdersi in un gioco che allena alla vita.
Bruno Bettelheim, psicoanalista, assegna alle fiabe un ruolo importantissimo durante la crescita del bambino. Esse danno significato e senso alle pulsioni del suo inconscio informe, di fronte al quale è inerme, disorientato ed impaurito.
Le fiabe dunque “civilizzano” l’inconscio dell’infante. La lettura e l’ascolto delle fiabe aiutano i piccoli al distinguo tra il bene e il male; li allenano alla vita attraverso le peripezie dei protagonisti; sviluppano l’immaginazione, l’intelletto e l’ottimismo. Le fiabe hanno un alto valore psicopedagogico ,perché sanno parlare all’io del fanciullo, attraverso personaggi e situazioni in cui si rispecchia, consentendo la liberazione e decodifica di conflitti non risolti, che altrimenti genererebbero reazioni violente.
Le fiabe classiche affondano la loro origine agli albori dell’umanità, e ,precisamente, nei riti di iniziazione a cui erano sottoposti i ragazzi dei villaggi primitivi ,per sancirne il passaggio all’età adulta. Condotti nei boschi dallo shamano, gli adolescenti, lontani dalla protezione delle famiglie, dovevano affrontare una serie di difficoltà, ovvero prove di sopravvivenza, superate le quali ritornavano al villaggio, ormai capaci di affrontare la vita.
In quelle notti all’addiaccio si distinsero giovani eroi per coraggio, generosità, astuzia, lealtà ed altre qualità ,le cui azioni tramandate oralmente nei secoli, diedero vita poi alla formazione dei valori.
Quelle avventure nei boschi divennero oggetto dei racconti degli shamani e poi dei bardi, ritornati ai villaggi. Successivamente quei racconti furono tramandati oralmente di generazione in generazione fino all’Ottocento, quando uomini straordinari come i fratelli Grimm in Germania, Afanas’ev in Russia, Capuana in Italia, ne intuirono il valore morale e li trascrissero.
Wladimir Propp dimostrò con i suoi studi l’universalità di quei racconti, ovvero la loro genesi presso le varie culture del mondo, e lo schema fisso dei personaggi, dei luoghi e delle funzioni all’ interno delle storie, chiamate poi fiabe.
In effetti le fiabe risultano essere” un atto d’amore” che i nostri progenitori ci hanno tramandato per guidarci nell’affrontare la vita e darle significato.
Aiutare i bambini a trovare il significato alla vita risulta essere quindi il compito precipuo di chi li alleva.
La violenza deriva dalle pulsioni e pressioni dell’inconscio represso. L’inconscio del piccolo crea in lui ansia, paura, preoccupazioni, perché tali moti sono a lui sconosciuti e solo la fiaba, che non è altro che l’archetipo dell’inconscio dell’umanità primitiva, riesce ad aiutarlo in quanto il piccolo lettore, identificandosi con i personaggi e le situazioni, libera l’energia dell’inconscio e trova autonomamente soluzioni e risposte.
Non possiamo eliminare il male dalla nostra vita, neanche la violenza, ma possiamo aiutare i bambini attraverso le fiabe a civilizzare il loro inconscio. Esse hanno aiutato i piccoli di tutti i tempi a trovare il significato di cui parla Bruno Bettelheim.
Sono necessarie le fiabe,tra cui quelle classiche, in cui sono nettamente distinti il male e il bene, le peripezie ed il lieto fine. Questi sono gli ingredienti affinché la fiaba possa avere efficacia pedagogica e terapeutica.
Terapeutica perché essa aiuta la persona del bambino a comprendere se stessa e le dinamiche della vita. Impedirgli di sperimentarsi attraverso le peripezie, vuol dire disumanizzarlo,in quanto solo attraverso le prove il fanciullo comprende le sue capacità ed i suoi limiti,superando e comprendendo le frustrazioni.
Gli indù usano le fiabe anche per curare gli adulti che attraverso l’identificazione con i personaggi e le vicende della fiaba, mettono a fuoco il vissuto dolente che portano dentro e che fa male.
Paola Santagostino in “Guarire con una fiaba…Usare l’immaginario per curarsi”, aiuta i suoi pazienti, attraverso le trasfigurazioni fiabesche, ad identificare i loro vissuti dolenti.
Margot Sunderland in “Aiutare i bambini che hanno paura” attraverso la fiaba, dimostra la valenza di questi racconti ancestrali a livello psicoterapeutico.
Oltre la fiaba di Elena Opromolla intende rilanciare il valore delle fiabe come strumento di arte terapia valido per i bambini ed i preadolescenti del mondo contemporaneo, ma nel contempo vuol essere occasione di riflessione per gli adulti, genitori ed educatori, sui propri vissuti, a volte dolenti da cui prendere poi le distanze ed indirizzare la vita in maniera più consapevole.
Purtroppo però abbiamo assistito negli ultimi tempi ad una sorta di eliminazione delle difficoltà dai testi fiabeschi, per proteggere i bambini dagli aspetti cosiddetti negativi della vita. Così facendo abbiamo nociuto loro, iperproteggendoli.
Eliminare le difficoltà della vita, significa privare l’individuo della possibilità di vivere una vita piena, consapevole e soddisfacente in cui solo attraverso il superamento delle prove è possibile comprendere le proprie potenzialità e limiti. Infine sussiste ancora il pregiudizio che le fiabe siano adatte solo ai bambini delle elementari.
L’umanità delle origini attraverso le fiabe ci ha tramandato un vademecum esistenziale che Lewis Carroll ha definito giustamente un “dono d’amore” per noi.